Occupazione e disoccupazione: quali settori perdono appeal e quali le nuove realtà emergenti nella zona massese.

Fino agli anni novanta, nel nostro territorio insisteva una Zona Industriale fiorente e competitiva. La Grande Industria con i suoi stabilimenti, prevalentemente ad indirizzo metalmeccanico e chimico, occupava molti fra tecnici ed operai del nostro territorio, rappresentando circa il 40%  del reddito Provinciale. L’industria apuana ha  poi dovuto sopportare un lungo processo di trasformazione, iniziato dopo il referendum che sancì la chiusura della Farmoplant  cui fece eco, come un effetto domino, l’abbandono del territorio da parte di altre grandi aziende (es. Dalmine, Olivetti, Enichem,Cokapuania). Tale processo si è poi acuito con la rapida avanzata delle economie emergenti a basso costo del lavoro, soprattutto del sud est asiatico, che,assieme ad altri fenomeni, come il mercato unico europeo e l’adozione dell’euro,hanno elevato i processi di integrazione e di globalizzazione delle economie mondiali, portando ad un cambiamento radicale nelle regole di funzionamento del sistema economico nazionale. Questa fortissima pressione competitiva ha contribuito ad indebolire strutturalmente alcuni segmenti locali dell’industria manifatturiera, come il lapideo, ed ha costretto le imprese ad innalzare la ricerca di una frontiera di produttività più elevata, visto che gli strumenti protezionistici di un tempo, tradizionalmente usati per fronteggiare le crisi, oggi non sono più gestibili. Tra il 2005 ed il 2006 il tasso di disoccupazione di Massa era il più alto della Toscana,con oltre il 9%. Mentre il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni è passato da 1,2 milioni di ore del 2005 alle 700 mila del 2006 con una percentuale del 44,7% solo per l’industria metalmeccanica. La congiuntura riscontrata ha spinto l’amministrazione pubblica a formulare un Piano Strutturale tenendo conto dei possibili scenari evolutivi demografici ed occupazionali, che presumibilmente tenderanno a caratterizzare il territorio comunale. Ipotizzando la medesima crescita occupazionale registrata a livello nazionale nel periodo 1993-2005, i settori che lascerebbero intravedere valori di crescita anche a livello locale riguarderebbero l’ agricoltura, l’industria e le costruzioni. L’ipotesi  porta a prevedere un incremento dell’occupazione locale del +9% fra il 2005 e il 2020 con un numero di occupati che passerebbe dalle 24.542 alle 26.751 unità (in linea con l’evoluzione stimata dall’Istat sulle Forze di Lavoro). In questo scenario però, la crescita della domanda di lavoro sarebbe più imputabile allo sviluppo del settore terziario (+15%),mentre sia il settore industriale che quello agricolo registrerebbero una contrazione rispettivamente del -11.3% e del -12,8%.

 Il tasso di attività della popolazione in età lavorativa si porterebbe al 59,59%, mentre il tasso di disoccupazione passerebbe al 5,7%. Ciononostante tali valori non raggiungerebbero comunque, gli obiettivi comunitari stabiliti nel vertice di Lisbona. Infatti, nel 2020 il tasso di occupazione rimarrebbe di ben 14 punti ancora al di sotto dell’obiettivo fissato del 70%. Guardando alla congiuntura per singoli comparti del nostro territorio, va osservato che tutti i settori presentano oscillazioni positive, tranne l’elettronica. Più specificatamente, la meccanica ha messo a segno nel 2006 un incremento della produzione del +4,5% ed un aumento del fatturato del +9,6%, grazie soprattutto al sostegno della domanda proveniente dall’estero. Risultano, tuttavia, in fase di stallo gli investimenti (0,3%). I settori che, però, più di ogni altro hanno fatto segnare le migliori performance sono la metallurgia e la cantieristica e nautica da diporto, che già in passato avevano registrato ottime dinamiche. I metalli in particolare hanno registrato un incremento a doppia cifra sia nella produzione che nel fatturato, rispettivamente nell’ordine del +10,3% e +10,6%, e gli investimenti sono volati addirittura al +32,8%. Si tratta di un settore che è florido non solo nella nostra zona, ma un po’ in tutta la penisola. La sensazione è che da qualche anno stia beneficiando dell’elevata domanda internazionale, tra l’altro sempre meno trascurabile (nel nostro caso 54,8% del fatturato totale). e a livello strettamente locale sia aiutato anche dalla ripresa della meccanica e dalla crescente presenza della vicina nautica da diporto. Diportistica che, per l’ennesima volta, anche nel 2006 dimostra di poter mantenere ritmi di crescita consistenti: nel nostro caso rispettivamente pari al +5,1% nella produzione e +6,4% nel fatturato. È da tutti riconosciuto che senza sviluppo non ci può essere occupazione. Lo sviluppo è prodotto da fattori organizzati, come le imprese, ma anche da valori e stili di vita. Da più parti viene sostenuto che l’innovazione rappresenta il cardine del modello di competizione a livello globale delle singole imprese, di sistemi economici locali e nazionali che non godono di condizioni strutturali dal punto di vista socio-economico in grado di conferire un predeterminato appeal alla propria offerta di prodotti e/o servizi. Il riferimento è alle organizzazioni economiche che affondano le proprie radici operative nelle economie avanzate, in settori concorrenziali e che, proprio per questo, non godono di condizioni di manodopera a basso costo o di strutture di mercato in grado di garantire loro un ritorno economico facilmente raggiungibile. Stiamo parlando di organizzazioni economiche che per raggiungere un’economicità duratura nel tempo devono continuamente superare l'esame del mercato in cui operano con altri competitor. Questa è la condizione di quelle Il riferimento è alle Pmi che rappresentano la colonna vertebrale della nostra struttura produttiva e che in questi anni di forte intensificazione della concorrenza internazionale sono state in grado di proporre innovazioni fondate sulla ricerca senza possedere nemmeno figure dedicate alla ricerca e sviluppo, ma che sopperiscono a tale manchevolezza operando innovazioni imperniate su altri aspetti dell'operatività aziendale che permettono loro, comunque, di ottenere un successo competitivo. Tali imprese spesso muoiono perché non generano la redditività sufficiente. Queste realtà però fanno emergere in maniera precisa e incontestabile la complessità e la molteplicità del concetto di innovazione in impresa. Sforzandosi di cercare un minimo comune denominatore si potrebbe dire che se l'innovazione ha come fine ultimo la crescita della capacità competitiva dell'impresa nei confronti dei propri competitor e questa è conseguenza di quella combinazione sintetizzabile nel concetto di qualità-prezzo, allora l'innovazione può riguardare qualsiasi leva che agisca su tale combinazione. Dal lato della qualità, le caratteristiche intrinseche del prodotto e la capacità di questo a soddisfare sempre meglio il bisogno a cui vanno a rispondere, le caratteristiche del processo produttivo, il servizio al cliente, le caratteristiche immateriali del prodotto quale l'immagine di marca ecc; dal lato dei costi, il miglioramento e la razionalizzazione dei processi produttivi e di quelli organizzativi. Voler individuare un unico approccio ad incoraggiamento dell'innovazione rappresenta una semplificazione destinata a non incontrare il successo delle iniziative promosse. Le necessità di questa categoria di impresa appaiono assai variegate e tali devono essere le politiche che gli enti pubblici che si elevano a promotori di iniziative di stimolo della capacità innovativa devono proporre. Questa considerazione è il punto di partenza per affrontare il nodo dell’impatto delle politiche pubbliche sui sistemi economici locali. Il ruolo degli operatori pubblici e le politiche che intendono intraprendere devono partire da un'attenta analisi di quanto recettivo è il tessuto produttivo verso stimoli che incoraggiano all'innovazione.Da un’indagine sull’innovazione a Massa-Carrara realizzata nel 2006/2007 si rilevava una percentuale piuttosto bassa di laureati in impresa e presentava una lacuna da colmare con precise politiche volte a favorire l'inserimento di giovani laureati all'interno delle imprese (tesi di laurea, stage aziendali ecc). Per ultimo l'indagine evidenziava uno sviluppo delle funzioni ancora "embrionale", mancanza di personale dedicato a specifiche funzioni quali il marketing, la gestione finanziaria o le risorse umane; un iter di ricerca e di innovazione non formalizzato, sporadico e non condiviso all'esterno dell'impresa con altre organizzazioni, imprese e/o enti pubblici di ricerca. A questa generalizzazione, naturalmente, sfuggono le dovute eccezioni, ben presenti già allora; il settore della meccanica per esempio seguito da quello della nautica e da qualche individualità molto interessante nel tessile, tuttavia finalità della ricerca era quella di individuare le lacune esistenti al fine di individuare comuni soluzioni e su questo in maniera talvolta marcata ci siamo concentrati. La situazione attuale, si può subito affermare non è sostanzialmente cambiata, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, è anche vero però che il tempo trascorso dalla precedente rilevazione non è molto ed i processi d'innovazione, si sa, necessitano di un arco temporale più lungo a confronto del normale ciclo di investimento operativo.  La percentuale d'imprese che hanno effettuato investimenti innovativi negli ultimi tre anni era circa il 75% allora e cosi è oggi, i dati rilevati parlano di un 76,5%, ma con un aspetto significativo che è importante sottolineare e che possibilmente deve essere adeguatamente sostenuto: le imprese che hanno intenzione di innovare in futuro sono l'82,3%, erano circa il 33% nella precedente rilevazione. Tale dato, per certi aspetti sorprendente, pare riflettere le differenti prospettive di crescita economica ma certamente deve essere interpretato come il segno tangibile di una maturazione in seno alla classe imprenditoriale del ruolo strategico competitivo dell'innovazione.  Di fronte al dato positivo delle imprese che possiedono personale dedicato alla fase di progettazione c'è la necessaria specificazione che quasi mai si tratta di un'attività costante e formalizzata, piuttosto di un'attività periodica realizzata in comunione tra direttore di produzione e imprenditore. Solamente in un quarto delle imprese è presente la funzione marketing, mentre una certa attenzione è rivolta al controllo di gestione.

Se la domanda e l’offerta di lavoro non riescono ad incontrasi, coincidendo in numero e qualità delle prestazioni, si ha il fenomeno  del “lavoro interinale”, cioè temporaneo e mutevole. Tutto questo riguarda il complesso sistema di governo del mercato del lavoro: relazioni industriali tra associazioni imprenditoriali e sindacati dei lavoratori, che si esprimono in contratti collettivi di lavoro, patti, etc.; normative e leggi sul lavoro, sui meccanismi di assunzione e licenziamento, sulla tutela delle condizioni di lavoro, sulle libertà in azienda, sui diritti ed i doveri dell’impresa e dei lavoratori; la struttura ed il livello di copertura dei sussidi di  disoccupazione, di garanzia salariale, di reddito minimo, ma anche di supporto sociale (casa, sanità, etc.); etc. È possibile solo se tutti assieme facciamo un passo avanti per aumentare le capacità di governo di sistemi complessi, con la finalità di aprire nuove prospettive occupazionali e superare la cosiddetta “corsa delle biciclette”, dove il numero delle biciclette è sempre lo stesso, ma cambiano soltanto i corridori.

In riferimento al sistema produttivo, sarebbe auspicabile che passata la tornata elettorale si iniziassero a seguire con decisione le traiettorie di sviluppo contenute nel PASL (Patto Attuativo di Sviluppo Locale): Consolidamento del sistema locale di impresa del manifatturiero e del terziario connesso, tramite il sostegno al sistema delle PMI locali con interventi più direttamente connessi con il sistema delle imprese, sia di carattere sistemico (credito, promozione, innovazione, nuovo ruolo del Consorzio ZIA) che settoriale (commercio e turismo). Infrastrutture di collegamento) con  interventi di forte valore strategico che riguardano l’accessibilità e la razionalizzazione dei flussi interni anche a carattere intermodale Infrastrutture per i sistemi produttivi  focalizzando gli interventi su infrastrutture determinanti per accrescere la competitività del sistema produttivo locale . Superamento criticità ambientali , come l’erosione della costa, il problema degli RSU sia dal punto di vista della implementazione della infrastrutture pubbliche che dal punto di vista gestionale, le problematiche ambientali legate all’estrazione del marmo. Se la crisi della Grande Industria è seguita alle scelte politiche che hanno privilegiato la qualificazione e l’espansione del settore turistico (più segnatamente di tipo balneare) reputando che il nostro territorio avesse questo tipo di vocazione, ora più che mai occorre dimostrare di saper coniugare alcune scelte apparentemente fra loro contrastanti: Il Potenziamento Porto di Marina di Carrara con le infrastrutture necessarie alla Nautica da Diporto, con il Progetto integrato contro l'erosione costiera e le Infrastrutture per il turismo ed il porto turistico del Lavello. Lo sviluppo delle “autostrade del mare” con la valorizzazione dell’area del “Campo di aviazione” di Marina di Massa,e la Stazione unica. A partire dal 13-14 Aprile 2008, vi saranno altri 5 anni a disposizione dei cittadini per assistere, affacciati alla finestra della nostra realtà territoriale, al promesso e tanto atteso sviluppo economico e occupazionale, di qualità e coesione sociale, in un contesto economico aperto alla competizione globale. Roberto Benatti