Non abbiamo potuto né voluto pubblicare nel giornalino L’APE la lettera anonima qui riprodotta, in coerenza con la linea, sempre tenuta, di dare spazio soltanto a contributi chiaramente attribuibili.
I contenuti della missiva, tuttavia, ci appaiono una salutare quanto opinabile provocazione, per cui, deplorando ancora l’anonimato, ne rendiamo pubblico il testo sul nostro sito Internet, dove chiunque può interloquire.
Ho letto gli ultimi numeri de L’APE e ho scoperto che sembrate interessati ad una intesa tra Massa e Carrara – addirittura ad una integrazione – e non posso che compiangervi. E la compassione diventerà stizza se continuate e dovessi convincermi che siete così duri a non capire che, per vostra fortuna, state pestando l’acqua nel mortaio
Vi siete chiesti quanti a Massa vi condividono? Avete fatto un’indagine?
Se i massesi non sono fessi, vi dovrebbero gridare di no. Ci hanno tutto da rimettere. Perché dovrebbero mettersi a tirare il carretto per i carrarini, con quella spocchia che gli ha sempre impedito anche di prendervi in considerazione. In questa vicenda dovreste esser contenti di questo fatto.
Non capite che sarebbero loro a guadagnarci tutto da un unico Comune? Non gli manca l’orgoglio della cittadinanza e della superiorità, l’intraprendenza individuale e collettiva, il miglior dinamismo e una maggiore ricchezza disponibile, per diventare padroni del nuovo Comune.
Chiudete presto l’argomento e sperate che non ci riflettano. E continuino, per il bene vostro, a mantenere la decisione del 1945, quando vollero la soppressione del Comune di Apuania, in un momento nel quale la guerra aveva offerto loro la completa distruzione della città di Massa e la totale egemonia, a cominciare dalla sede del Comune.
Date retta e non ne parlate più
Un massese emigrato a Carrara
Il nostro socio Liliano Mandorli ci invia il seguente contributo che volentieri pubblichiamo
Le decisioni della Società Heaton che prevedono una disastrosa riduzione di manodopera producono giustificati timori e consuete domande di intervento alle istituzioni. Quanto queste ultime poi possano essere efficaci non ci si chiede - leggi l’esperienza del passato - né prima né durante né dopo.
La vicenda della Tenda di Piazza Aranci, rimasta per anni a invocare e a sperare sostegni istituzionali e recentemente morta per consunzione, dovrebbe essere l’ultimo significativo insegnamento della insufficienza, se non dell’inutilità, di certe invocazioni e aspettative.
Sarebbe meglio prendere atto che occorre contare sopra ogni cosa sulle opportunità ordinarie e straordinarie che ci capitano e fare assegnamento soprattutto sulla forze nostre, sul nostro buon volere e sull’intelligenza. Applicando quest’ultima dobbiamo riconoscere che per avere nuova ricchezza da distribuire è necessario prima produrla, E anche che il vero incremento di ricchezza è dato dai prodotti della terra, dalla loro trasformazione e dall’utilità rappresentata dai prodotti finiti.
Allora viene di conseguenza che l’organizzazione industriale, le conoscenze che la incrementano e le maestranze che la realizzano sono i veri e soli protagonisti dell’aumento dei beni disponibili. Su questi territori, deputata a questi fini, c’era una volta la zona industriale apuana, soppiantata oggi in vasta misura da attività commerciali e da depositi e ridotta a pochi opifici, officine e loro supporti. I diversi tentativi per rivitalizzarla o hanno abortito o vivacchiano con la spada di Damocle della chiusura o del ridimensionamento.
Quanto sopra premesso, ci viene da suggerire nuove procedure e un cambiamento di mentalità e di prassi. Partiamo dalla costatazione che i rapporti sociali in questa provincia sono contrassegnati da sempre da una inesauribile conflittualità tra impresa e mano d’opera, sia nel privato come nel pubblico. Essa nasce dall’aprioristica convinzione che le relazioni tra imprenditori e lavoratori debbano essere eternamente di scontro a causa dell’ineludibile contrasto dei rispettivi interessi.
Occorre anzitutto rivedere rapidamente tale preconcetto. Difatti solo nel buon andamento di una azienda, nella sua crescita, nella collaborazione e intesa tra la parte dirigente e quella esecutiva si colloca il vero interesse di tutte le parti in causa. O ambedue trovano il modo di dialogare ragionando utilmente assieme oppure prima o poi tutto si perde.
Una seconda diffusa opinione va accantonata: l’intervento sostitutivo della mano pubblica nelle crisi occupazionali, in sostituzione dell’imprenditore privato. La tragica esperienza sovietica e le vicende delle nazionalizzazioni e successive dismissioni italiane stanno a dimostrare a tutti quelli che ragionano come questa soluzione porti alla corruzione e al fallimento.
A questo punto ci permettiamo di suggerire una nostra proposta.
Le istituzioni pubbliche interessate si facciano promotrici di incontri tra la rappresentanza imprenditoriale e i sindacati dei lavoratori per un PATTO DI PACE SOCIALE E DI SVILUPPO entro il quale si persegua il superamento delle distorte mentalità sopra denunciate e ci si concentri verso intese e collaborazioni per raggiungere i seguenti obiettivi:
GLI IMPRENDITORI si impegnano a mantenere inalterati i livelli occupazionali e le retribuzioni.
I SINDACATI, in rappresentanza di tutti i prestatori d’opera, si facciano carico dell’aumento della produttività a parità di emolumenti.
INSIEME si dia vita a un organismo di verifica dei risultati annuali che, ove positivi, possano essere ripartiti, secondo percentuali da stabilire, tra i lavoratori (con un premio eventualmente esentasse), a remunerazione del capitale e una terza utilizzata o accantonata per lo sviluppo dell’azienda .
Si tratta di rapporti industriali sui quali da anni si affaticano gli esperti. E’ possibile tentare qualcosa da noi per il rilancio dell’occupazione e della speranza?
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