Il movimento cattolico e l’Unità d’Italia

Si è tenuta presso il Liceo classico “ Pellegrino Rossi” di Massa la seconda conferenza organizzata dal Centro studi “Alcide De Gasperi”, programmata per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sul tema: “Il contributo del movimento cattolico all’unità d’Italia”. Relatore il Prof. Pier Luigi Consorti, professore di Diritto Ecclesiastico e Legislazione del Terzo Settore presso l’Università degli studi di Pisa e Siena. L’oratore ha offerto una riflessione originale sul processo unitario, guardandolo dall’oggi per vedere quale fosse stato il ruolo della religione nello spazio pubblico. Il Risorgimento nasce da una frattura tra la Chiesa istituzionale e lo Stato precisando che vi è una sostanziale differenza tra le varie espressioni del mondo cattolico tradizionale e la gerarchia ecclesiastica. Per la Chiesa cattolica l’unità d’Italia è stato un vero dramma e non possiamo sottovalutare che festeggiando il 17 marzo 1861, celebriamo un’Unità ferita: mancavano allo Stato italiano ancora Venezia, Roma e una parte dello Stato del Papa-Re. La Chiesa cerca di difendere il potere temporale, ritenuto dallo stesso pontefice indispensabile allo svolgimento del Suo magistero. Tra il 1861 e il 1870, il Papa emana una serie di atti di evidente opposizione ai principi risorgimentali. Nel “Sillabo” ( 1864) vengono analiticamente descritti gli errori che la Chiesa doveva condannare e tra questi c’è anche il liberalismo. La stessa convocazione del primo Concilio vaticano (giugno 1868) esprime un tentativo di chiamata a raccolta del mondo cattolico contro le novità del momento. Anche la proclamazione del dogma dell’infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale è figlio di questo clima di sostanziale resistenza al progresso ed alla modernità che caratterizzerà tutto il secolo XIX. Questa è anche l’epoca del riconoscimento dei diritti dell’uomo e del cittadino che non trovano spazio nell’immagine religiosa fino al Concilio Vaticano II, durante il quale tuttavia, alcuni padri conciliari affermavano che per i credenti i diritti sono inconcepibili, potendosi parlare solo di doveri, ed in particolare quello dell’obbedienza. La stessa libertà religiosa è concepita come un dovere, mentre per la modernità i diritti e i doveri sono inscindibili. E’ peraltro indubbio che grandi personalità politiche, esponenti del mondo cattolico, abbiano offerto un notevole contributo alla formazione della coscienza nazionale: Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini e molti altri. Da questo quadro emerge un’immagine della Gerarchia ecclesiastica di allora, piuttosto conservatrice e refrattaria, solidamente attaccata alla gestione del potere temporale, ed un mondo cattolico più attento alla tensioni sociali dell’epoca. Una frattura che sembra talvolta ancora presente. Come emerge ad esempio dalla lettura neoguelfa del risorgimento, recentemente offerta dalla CEI, che quasi ignora i forti contrasti dell’epoca, sottovalutandoli rispetto ad una legittimazione culturale del cattolicesimo, radicata in un sentire comune che si fa risalire al Rinascimento e, più indietro ancora, al basso medioevo. Probabilmente sarebbe opportuna anche da parte cattolica una riflessione sull’Unità, storicamente più argomentata, attenta a riportare al centro la persona umana e i suoi valori: diritti e doveri, pilastri essenziali per la costruzione di una comunità autenticamente cristiana. Luciano Faenzi- Direttore del Centro Studi Alcide De Gasperi